domenica 5 giugno 2016

Più veloce del vento

L’ultimo romanzo di Tommaso Percivale, Più veloce del vento, Einaudi ragazzi, ci permette di tornare a parlare di sogni davvero in grande stile.
Non conoscevo la storia di Alfonsina Strada, figlia di contadini emiliani, che sfidando le convenzioni sociali dell’epoca (siamo nei primi anni del 1900), decide di rincorrere il sogno di diventare una ciclista professionista. Con grande coraggio e determinazione Alfonsina si fa strada in un ambiente di soli uomini, in uno sport che è tutto sudore e fatica, ma pedalare è l’unico modo che ha per colmare  quel buco, che sente dentro quando pensa al suo futuro a Fossamarcia. Alfonsina vuole fare qualcosa di più oltre a sposarsi ed avere figli e intraprenderà il suo personale cammino verso la libertà. Una strada costellata di rinunce, di sudore e di cadute, ma ogni volta Alfonsina è pronta a rimontare in sella, l’importante è continuare a correre come il vento. Certo la libertà la pagherà a caro prezzo, non sarà facile avere l’approvazione della famiglia e convivere con le pressioni sociali di un mondo fondamentalmente machista. Alfonsina sarà la prima donna a correre il giro d’Italia nel 1924 e quando salire in sella diventò troppo faticoso comprò una moto Guzzi 500 rossa su cui pare non fosse raro vederla sfrecciare per le vie di Milano.
Il romanzo ha trovato subito un suo posto nelle bibliografie per l’estate e sono sicura che toccherà le corde di molte delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi che entreranno in connessione con una storia del passato, ma con un respiro molto più contemporaneo di quello che si creda.
Abbiamo ancora tanto bisogno di raccontare storie di grandi sogni. Sono tante le donne che prima e dopo Alfonsina hanno rinunciato alle proprie aspirazioni ed hanno riposto i loro sogni nel cassetto.
Mentre leggevo il romanzo di Tommaso i miei pensieri sono andati alla nonna Maria, venuta a mancare poco più di due anni fa. Aveva i capelli ricci e crespi come quelli di Alfonsina e da giovane dicono che fosse un po’ una testa matta, sua mamma la signora Fanny “una donna da cappello e non da pezzola” come l’ha definita mia mamma, si dannava sempre per la figlia che era un po’ un maschiaccio e non voleva portare il cappello, nemmeno quando diventò una signorina. La famiglia della nonna era borghese ed agiata (il papà era un noto psichiatra) e dopo gli studi magistrali, la nonna Maria avrebbe voluto diventare insegnante di educazione fisica. Era un’atleta la nonna, giocava a pallacanestro e spiccava nel tiro con il giavellotto. Ma il suo papà, il signor Carlo, non le accordò le stesse possibilità che aveva offerto ai figli maschi. Poi venne la guerra, il fidanzamento con il nonno e il suo sogno svanì con la nuova vita da moglie e mamma. Quando, nella vecchiaia avanzata, la nonna Maria aveva perso un po’ il senno, non faceva altro che parlare del suo passato glorioso da atleta, ci mostrava le fotografie che la ritraevano fiera mentre gareggiava. Ci ha raccontato fino allo sfinimento del sogno abbandonato. Chissà, forse voleva che la sua storia fosse un monito, per le quattro nipoti femmine, ad essere più determinate di quanto lo fosse stata lei.
Di storie come quelle di Alfonsina non ce ne sono molte e ringraziamo Tommaso per avercela raccontata, di storie come quelle della nonna Maria, invece ce ne sono a bizzeffe e quello che abbiamo cercato di fare con il nostro progetto è stato allenarsi a riflettere sui propri sogni, sulle proprie aspirazioni professionali e lo abbiamo fatto grazie ai romanzi di Dahl, grazie alle storie degli imprenditori ed imprenditrici di Ad occhi aperti e continueremo a farlo ogni volta che leggeremo storie come quella di Alfonsina per ricordarci tutti, donne e uomini, grandi e piccoli che “nessun sogno è troppo grande per essere inseguito”.


Elena

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